giovedì 24 gennaio 2013

Confindustria: miopia o malafede?

Letto il recente documento presentato da Confindustria come ricetta per far uscire l'Italia dalla brutta situazione in cui si trova e condizionare possibilmente l'esito delle prossime elezioni, mi viene spontaneo pensare che coloro che l'hanno redatto siano o in perfetta malafede oppure del tutto miopi ed incapaci. Si tratta della solita enunciazione da libro dei sogni (o degli incubi), con alcuni punti che rendono conto di quanta poca visione strategica abbiano i nostri industriali. In sostanza essi dicono che vorrebbero far lavorare di più, riducendo sensibilmente il costo del lavoro, ottenere più finanziamenti pubblici per la ricerca, che in molti casi non ha avuto alcun ritorno in termini di occupazione né di penetrazione sui mercati esteri, pagare meno l'energia, semplificare le regole.
Tutto questo per rilanciare la vocazione manifatturiera nazionale, aumentando l'occupazione e conseguentemente i consumi.
Vorrei brevemente ricordare a lor signori che:
  • il tessuto manifatturiero nazionale è stato rimaneggiato da loro negli ultimi vent'anni, spostando all'estero molte attività, per aumentare i loro utili, spesso non reinvestiti, senza alcun riguardo per il bene del Paese
  • l'incidenza sui costi di produzione del costo dell'energia può e deve essere ridotta prima di tutto non sprecando e razionalizzandone l'utilizzo, cosa che, per mancanza di competenze interne, gran parte delle aziende manifatturiere non fa
  • che i finanziamenti pubblici, distribuiti da una pluralità di enti, hanno prodotto ben poco a fronte di cifre ragguardevoli, perché i progetti presentati sono stati spesso paraventi vuoti di contenuto, che nascondevano il tentativo di ottenere soldi a fondo perduto, attraverso i buoni uffici delle molte Società di consulenza e delle Università che forniscono contemporaneamente  supporto scientifico e azione di validazione, in evidente conflitto di interessi
  • che la vocazione di un Paese post-industriale come il nostro non potrebbe certo essere quella di tornare a produrre beni fisici di basso livello tecnologico, bensì beni immateriali del terziario avanzato, che presuppongono un netto innalzamento del livello di conoscenza, che la Scuola nazionale non è sempre in grado di fornire
  • che, infine, il modello di sviluppo possibile per il mondo occidentale non è certamente fatto di maggior produzione= maggior consumo, in una spirale perversa, che solo coloro che non comprendono i limiti della realtà possono immaginare infinita
Il modello di sviluppo alternativo consiste in un rilancio del territorio, delle iniziative di autosufficienza energetica locali, basate sulle energie pulite, del ritorno a stili di vita più salutari, dove si produce solo ciò che serve, non per far girare l'industria, dove il benessere del Paese sia finalmente misurato non dal PIL, ma dalla qualità della vita dei suoi cittadini. In poche parole, lavorare per vivere, non viceversa.

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