venerdì 23 settembre 2011

Lettera aperta a Berlusconi

Presidente, leggo sui giornali di oggi che si è creata tra lei e Tremonti una frattura che appare sempre più insanabile. Il Ministro dell'economia non è mai stato la persona più simpatica del mondo, ma della sua competenza e capacità d'analisi sono testimonianza innumerevoli fatti, mentre le chiacchiere di alcuni dei suoi denigratori sono appunto chiacchiere. Non si lasci tentare dalla pericolosa illusione di poter fare a meno della sua competenza. Di nani adulatori alla sua corte ne ha già troppi. Semmai ha bisogno di qualcun altro che abbia il coraggio di dirle di no e di dipingerle un quadro più realistico della situazione economica e sociale del Paese. Il tanto promesso e mai attuato cambio di passo può essere compiuto solo se ci si rende conto che il modello economico seguito fino ad oggi non funziona più, perché costringe ad un avvitamento sempre più stretto tra produzione e consumo, un binomio insostenibile ed aberrante, non solo in Italia, ricca solo di ingegno, ma anche nel resto del pianeta, che possiede risorse limitate, già sull'orlo dell'esaurimento, quando ancora oltre 1/3 del genere umano non dispone dei beni essenziali ad una vita dignitosa. La futura economia del nostro Paese può solo basarsi sull'indipendenza energetica da fonti rinnovabili, sulla qualità di una vita che richiede meno beni di consumo e più tempo libero, meno spostamenti e più contatti umani, meno supermercati e più musei. Il turismo evoluto, l'offerta di servizi di alta qualità, la valorizzazione delle innumerevoli bellezze sparse in abbondanza sul territorio sono altrettante occasioni che attendono di essere colte. Soprattutto, non si lasci tentare dall'economia virtuale che Tremonti con anni di anticipo su tutti aveva individuato come un pericolo gravissimo per l'economia reale. I fatti gli hanno dato ampiamente ragione. Se vuole bene all'Italia, cosa che non dubito, perché sarebbe stato un folle a rischiare come ha fatto se non amasse profondamente questo Paese, prenda la decisione giusta e metta il governo in condizione di funzionare, senza dover annacquare per ragioni politiche i provvedimenti dolorosi che è necessario prendere. I mercati e le procure non sono l'unico giudice del suo operato, anzi è di fronte alla sua gente che deve apparire in giudizio, a quelli che hanno creduto in lei e sperato che il cambiamento di forma del modo di governare corrispondesse ad un cambiamento di sostanza.  In questi anni abbiamo visto affievolirsi questa speranza, ma non è troppo tardi per un colpo d'ala o per un onesto riconoscimento del fallimento politico del suo sogno. Ce lo deve e lo deve al suo Paese.

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